La ricerca è continua ed è a portata di smartphone, non appena c’è la possibilità di collegarsi a internet con un buon pacchetto “dati”, sotto forma di Giga da consumare. Basta guardarsi attorno per verificare che questa è la realtà: ci sono i nativi digitali di fronte ai quali gli adulti sembrano abitanti di un altro pianeta. Diciamo pure, marziani. Quante volte ci capita di incontrare studenti davanti alle scuole attaccati ai propri cellulari? Chattano con gli amici, usano con notevole dimestichezza i social network, Facebook, Instagram e Tik Tok e hanno Google tra i preferiti, pronti a cercare di tutto e di più.
Sul web le risposte a tutte le domande degli adolescenti
Per descrivere il fenomeno è stato addirittura coniato un neologismo: googlare (o gugolàre) come sinonimo di “cercare in rete” è la parola del decennio secondo l’American Dialect Society. Ma al di là delle parole, che pure sono importanti, sono i comportamenti concreti che appaiono rivoluzionari.
Le ricerche su Google, le informazioni reperite sui social network e nei servizi di messaggistica istantanea, stanno sostituendo i genitori, gli insegnanti e persino i medici.
Quando i nativi digitali hanno domande da porre, curiosità o dubbi, si rivolgono alla grande rete, la interrogano e ottengono risposte in tempo reale. Se poi le informazioni siano giuste o sbagliate, è tutto un altro discorso…
A questo scenario, si aggiungano i risultati di uno studio di OFCOM, l’agenzia indipendente inglese per le società della comunicazione, che ha analizzato il rapporto con internet dei ragazzini britannici dai 3 ai 15 anni, evidenziando come solo il 31% di loro è in grado di distinguere le informazioni dagli annunci pubblicitari. Percentuale che scende al 16% nella fascia 8-11 anni.
Anche una ricerca italiana conferma l’ascesa di Dottor Google
Significativo è il risultato dello studio nell’ambito del progetto Diagno/Click patrocinato dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, promosso dall’associazione Family Smile. La ricerca, condotta nel 2015, resta ancora una valida fotografia del rapporto tra gli adolescenti e internet.
Stando allo studio, il 77% per cento degli adolescenti italiani cerca in rete notizie sul proprio benessere e salute, con maschi e femmine equamente distribuiti, ma con una distinzione che attiene agli argomenti più cliccati: i ragazzi, ricercano notizie sulla sessualità (avendo accesso, sin dalla più tenera età, ad una quantità di materiale esplicito imparagonabile agli anni passati); le ragazze sono invece più interessate all’alimentazione.
Lo studio ha svelato anche che dopo la ricerca, solo il 45% dei giovani avverte la necessità di confrontarsi con i genitori o con persone adulte e più esperte; e questo nonostante il 91% dichiari di sentirsi ansioso per non essere in grado di elaborare le informazioni ottenute, mentre ben l’82% si dichiara confuso perché non riesce a capire tutte le notizie ricevute.
Anche se le informazioni sono poco comprensibili e poco “digeribili”, ben l’88% dei teenagers si dice rassicurato poiché ha comunque ottenuto delle risposte. In altri termini, Mr Google viene riconosciuto e consultato come medico e rischia di diventare Dottor Google.
La sfida dei medici: come approcciare i nativi digitali?
In un contesto di questo tipo, è evidente che per essere al passo con i tempi, bisogna porsi la seguente domanda: come ci si deve rivolgere ai pazienti nativi digitali? E ancora, in che modo curarli? Le risposte impongono delle sfide che i titolari di studi medici, poliambulatori e strutture sanitarie devono essere in grado di affrontare e vincere, partendo da un dato di fatto: per raggiungere e, quindi, riuscire a curare i pazienti più giovani, è necessario parlare la loro stessa lingua.
Questo significa che i medici devono essere in grado di usare tutti gli strumenti innovativi di comunicazione che per i nativi digitali sono il pane quotidiano: in questo caso, si parla di digital health.
Tra gli strumenti di ultima generazione, ci sono i canali social e le App di messaggistica dove le parole vengono condite con emoticon. La comunicazione in modalità digitale può essere offerta anche da software ad hoc, in grado di mantenere vivo il rapporto tra medico e paziente.
Per vincere la sfida dalla cura del paziente nativo digitale, un’idea è quella di incoraggiare l’adolescente a fare una ricerca, cercando però con lo specialista il confronto per analizzare e discutere dei risultati trovati e fornendo delle informazioni in più (ed evidentemente di maggiore accuratezza clinica) rispetto a quelle di cui il ragazzo/a è già in possesso grazie alla ricerca on line. Magari fornendo elementi in grado di stuzzicare l’appetito della conoscenza e della curiosità. In questo caso, si parla di “patient engagement model”.
Ad ogni modo, è necessario che ai pazienti nativi digitali venga chiarito un concetto fondamentale: le diagnosi possono arrivare solo dopo aver consultato un medico. Nulla vieta, ovviamente, la ricerca di informazioni in internet, ma Google o, ancora peggio, i social o i rumors su Whatsapp, non possono e non devono diventare un surrogato dei medici e del personale sanitario.
Infine, bisogna far riflettere le giovani generazioni su questa domanda cruciale: quante fake news circolano sulla rete? Si può escludere che nel corso della navigazione ci si imbatta in notizie false? Il rischio c’è, è concreto ed è facilmente dimostrabile.
Sta, quindi, ai medici conquistare la fiducia dei singoli pazienti, con un’attenzione particolare al bacino di utenza costituito dai più giovani, da quelli che vivono con internet a portata di telefono.
- Richiedi info e una demo gratuita di CGM XMEDICAL
- Iscriviti alla newsletter CGM XMEDICAL e ricevi gratuitamente contenuti di valore, utili per la tua professione